La presenza di alunni stranieri nella scuola italiana è un fenomeno che ben precede la normativa BES. Negli istituti le prassi di accoglienza e inclusione di tali alunni vengono declinate nel Protocollo d’Accoglienza per alunni stranieri, in cui le prassi di carattere amministrativo/burocratico, comunicativo/ relazionale ed educativo/didattico assorbono le indicazioni normative e delineano le funzioni dei diversi attori nella scuola e i percorsi da implementare per gli alunni stranieri. La normativa BES ha ribadito il ruolo dei docenti e delle loro competenze professionali e didattiche, e fornito strumenti aggiuntivi ad adempiere a questo ruolo, ma rimane il fatto che gli alunni stranieri non necessariamente sono alunni con BES e che per essi può essere implementato quanto già prescritto dalla norma e riportato nel Protocollo d’Accoglienza (es: adattamento dei piani di studio in fase di alfabetizzazione in lingua italiana; somministrazione in itinere di prove coerenti con i piani di studio; utilizzo di testi semplificati; criteri di valutazione idonei e condivisi).
Tutte le indicazioni riferite agli alunni con Bisogni Educati Speciali del “terzo tipo” – che non ricadono cioè nell’ambito legge 104/92 sulla disabilità e della legge 170/2010 sui DSA – sottolineano che è competenza del team docenti e/o del Consiglio di classe riconoscerli.
(…) “Ove non sia presente certificazione clinica o diagnosi, il Consiglio di classe o il team dei docenti motiveranno opportunamente, verbalizzandole, le decisioni assunte sulla base di considerazioni pedagogiche e didattiche; ciò al fine di evitare contenzioso.”(…) (CM8 – 6/3/13)
In tal senso non si può parlare di categoria clinica per questi alunni di “fascia C” ma di categoria pedagogica.
“La scuola può intervenire nella personalizzazione in tanti modi diversi, informali o strutturati, secondo i bisogni e la convenienza; pertanto la rilevazione di una mera difficoltà di apprendimento non dovrebbe indurre all’attivazione di un percorso specifico con la con seguente compilazione di un Piano Didattico Personalizzato.” Nota MIUR del 22/11/2013
Ad esempio – Una relazione redatta da medici specialisti consiglia la scuola a identificare un alunno come possibile studente in situazione di Bisogni Educati Speciali. …
“Dalla valutazione effettuata, il profilo del minore si inserisce nella categoria BES, per il quale andranno applicate, in ambito scolastico, le misure dispensative e degli strumenti compensativi indicati e previsti dalla legge 53/2003 e dalla legge 107/2010” …
Come si diceva, tale indicazione non è clinica, anche se inserita all’interno di una relazione clinica, perché la categoria BES è pedagogica e non diagnostica. Naturalmente i docenti dovranno tenerla nella massima considerazione, soprattutto se corredata da riscontri clinici (diagnosi, risultati di test, valutazioni, ecc.).
Il Team / CdC, dovrà tenere conto della segnalazione nel valutare gli eventuali riflessi negativi che la condizione accertata dal clinico produce effettivamente nel percorso scolastico dello studente, al punto da inficiarla in modo considerevole.
Il Team / CdC ha la piena e totale responsabilità del riconoscimento o meno di una situazione di BES per un proprio studente.
Secondo il funzionamento ordinario si vota e si decide a maggioranza.
Chiaramente la decisione è vincolante per tutti i docenti.
Come detto al punto precedente, il Team / Consiglio ha la piena autonomia e responsabilità delle proprie decisioni, opportunamente documentate e argomentate, anche nel caso di disaccordo sulla richiesta di riconoscimento di situazione di BES da parte di una famiglia.
Se non convinta, essa potrà rivolgersi agli organismi e ai referenti specifici presenti nell’-Istituto, a cominciare al GLI e al referente BES di Istituto.
È auspicabile che ogni Istituto definisca a livello collegiale criteri generali, tempi e modalità di definizione e rilevazione di alunni con Bisogni Educativi Speciali. (Vedi esempio allegato – allegato n. ).
E’ altresì opportuno sfruttare le risorse messe a disposizione dal CTS e dalla rete dei CTI: modelli, procedure, documenti, suggerimenti, confronto, …
Certamente no.
(…) In questo senso, ogni alunno, con continuità o per determinati periodi, può manifestare Bisogni Educativi Speciali: o per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano adeguata e personalizzata risposta. (…) (Direttiva 27.12.12)
La Direttiva ridefinisce e completa il tradizionale approccio all’integrazione scolastica, basato sulla certificazione della disabilità, estendendo il campo di intervento e di responsabilità di tutta la comunità educante all’intera area dei Bisogni Educativi Speciali (BES), comprendente:
“svantaggio sociale e culturale, disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a culture diverse”. (…) (CM 8 – 6.3.13)
(…) Per “certificazione” si intende un documento, con valore legale, che attesta il diritto dell’interessato ad avvalersi delle misure previste da precise disposizioni di legge – nei casi che qui interessano: dalla Legge 104/92 o dalla Legge 170/2010 – le cui procedure di rilascio ed i conseguenti diritti che ne derivano sono disciplinati dalle suddette leggi e dalla normativa di riferimento.
Per “diagnosi” si intende invece un giudizio clinico, attestante la presenza di una patologia o di un disturbo, che può essere rilasciato da un medico, da uno psicologo o comunque da uno specialista iscritto negli albi delle professioni sanitarie. Pertanto, le strutture pubbliche (e quelle accreditate nel caso della Legge 170), rilasciano “certificazioni” per alunni con disabilità e con DSA. Per disturbi ed altre patologie non certificabili (disturbi del linguaggio, ritardo maturativo, ecc.), ma che hanno un fondamento clinico, si parla di “diagnosi”. (…) (Miur 22.11.13)
(…) È necessario che l’attivazione di un percorso individualizzato e personalizzato per un alunno con Bisogni Educativi Speciali sia deliberata in Consiglio di classe – ovvero, nelle scuole primarie, da tutti i componenti del team docenti – dando luogo al PDP, firmato dal Dirigente scolastico (o da un docente da questi specificamente delegato), dai docenti e dalla famiglia.(…) (CM 8 – 6.3.13)
(…) In ultima analisi, al di là delle distinzioni sopra esposte, nel caso di difficoltà non meglio specificate, soltanto qualora nell’ambito del Consiglio di classe (nelle scuole secondarie) o del team docenti (nelle scuole primarie) si concordi di valutare l’efficacia di strumenti specifici questo potrà comportare l’adozione e quindi la compilazione di un Piano Didattico Personalizzato, con eventuali strumenti compensativi e/o misure dispensative. Non è compito della scuola certificare gli alunni con bisogni educativi speciali, ma individuare quelli per i quali è opportuna e necessaria l’adozione di particolari strategie didattiche. (…) E’ quindi peculiare facoltà dei Consigli di classe o dei team docenti individuare – eventualmente anche sulla base di criteri generali stabiliti dal Collegio dei docenti – casi specifici per i quali sia utile attivare percorsi di studio individualizzati e personalizzati, formalizzati nel Piano Didattico Personalizzato, la cui validità rimane comunque circoscritta all’anno scolastico di riferimento. (…) (MIUR 22.11.13)
Certamente è garantita la privacy: i dati sono trasmessi a soggetti ben precisi (i docenti) e non c’è diffusione di dati, considerato che il Team e/o il Consiglio di classe è tenuto al segreto professionale.
Non è un obbligo della famiglia presentare alcunché; la famiglia certamente può presentare documentazione diagnostica come comunicazione alla scuola, che può risultare di grande aiuto al Team / CdC per valutare meglio la situazione, ma …
“Fermo restando l’obbligo di presentazione delle certificazioni per l’esercizio dei diritti conseguenti alle situazioni di Disabilità e di DSA, è compito doveroso dei Consigli di classe o dei teams dei docenti nelle scuole primarie indicare in quali altri casi sia opportuna e necessaria l’adozione di una personalizzazione della didattica ed eventualmente di misure compensative o dispensative, nella prospettiva di una presa in carico globale ed inclusiva di tutti gli alunni.” (C.M. n. 8 del 6/03/2013)
Sì, ogni alunno potrebbe essere, anche temporaneamente, un alunno con Bisogni Educativi Speciali.
“… ogni alunno, con continuità o per determinati periodi, può manifestare Bisogni Educativi Speciali: o per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano adeguata e personalizzata risposta.” Direttiva Ministeriale 27/12/2012
Un cenno particolare va fatto per i casi di ricovero ospedaliero oltre i 20 giorni e/o di trattamento a domicilio con particolari e specifiche terapie (chemioterapia, etc…) o, ancora, con lunghi periodi di trattamenti farmacologici e psicoterapici in particolari situazioni di criticità (forte depressione, disturbi alimentari gravi …): in tali situazioni è possibile, con apposito progetto, avvalersi del servizio di SCUOLA IN OSPEDALE o attivare il servizio di ISTRUZIONE DOMICILIARE.
È stato siglato, tal proposito, uno specifico Protocollo d’intesa tra l’ Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia e la Regione Lombardia – DG salute per la tutela del diritto all’istruzione degli alunni ricoverati presso le strutture ospedaliere attraverso il servizio di scuola in ospedale e il servizio di istruzione domiciliare.
In provincia di Varese esistono tre scuole ospedaliere riferite alla scuola primaria ed in grado eventualmente di coprire i bisogni del primo ciclo di istruzione. Sono collocate presso gli IC di Tradate (IC “Galilei”), IC di Varese ed IC di Gallarate con riferimento ai reparto di pediatria dei rispettivi presidi ospedalieri.
Referenti a livello regionale sono la prof.ssa Bruna Baggio, la dott.ssa Laura Fiorini ed il dott. Giuseppe Bonelli. Al seguente link è possibile reperire informazioni e modulistica specifica: http://www.hshlombardia.it/
Con il tavolo di coordinamento delle Neuropsichiatrie della provincia, l’UST ha avviato il percorso per attivare sezioni di scuola in ospedale per gli alunni nella fascia d’età dai 11 ai 18 anni.
Nelle Linee Guida* lombarde sui BES, viene spiegato il motivo per cui non è possibile stendere un elenco esaustivo di tutte le situazioni possibili.
E’ però realizzabile e utile un elenco di massima delle difficoltà che possono determinare una situazione di Bisogno Educativo Speciale.
* “Strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”: concetti chiave e orientamenti per l’azione – gennaio 2014 – pagina 11
Appartengono alla categoria di alunni con BES:
- alunni con disabilità certificata ai sensi della 104/1992;
- alunni con disturbo specifico d’apprendimento secondo la 170/2010 e successive integrazioni, diagnosticato come previsto dalle normative;
- alunni con deficit del linguaggio (difficoltà o assenza di articolazione della parola, difficoltà nella strutturazione del linguaggio, difficoltà nella comprensione delle strutture linguistiche, ecc.);
- alunni con difficoltà specifica di comprensione del testo;
- alunni con difficoltà specifiche di apprendimento (risultati ai test DSA poco inferiori alle – 2 deviazioni standard);
- alunni con disprassie e disturbo delle abilità non verbali (o Sindrome non verbale caratterizzata da una differenza di circa 20 punti tra QIV e QIP alla scala WISC o WAIS);
- alunni con disturbi dell’attenzione, eventualmente con iperattività;
- alunni con disturbi dei diversi tipi di memoria;
- alunni con disagi/disturbi psicologici (forti ansietà, fobie, criticità correlate alla stima di Sé, all’identità, disturbi del comportamento alimentare…);
- alunni con disturbi relazionali;
- alunni con disturbi dello spettro autistico di grado lieve, qualora non rientri nelle casistiche previste dalla Legge 104;
- alunni con funzionamento intellettivo limite (poco superiore ai 70 punti di QIT) che produce anche difficoltà di tipo metacognitivo / strategico;
- alunni con difficoltà e penalizzazioni scolastiche a causa di situazioni di svantaggio sociale e / o economico (deprivazione di esperienze formative fondamentali; mancanza o carenza di supporto familiare; limitazioni delle opportunità sociali; …)
“… rientrano nella più ampia definizione di BES tre grandi sottocategorie… quella dello svantaggio socio-economico, linguistico, culturale…” – Direttiva Ministeriale 27/12/2012);
- alunni con difficoltà e penalizzazioni scolastiche a causa di una competenza linguistica italiana insufficiente al lavoro scolastico
(bisogna sottolineare che non vanno considerati gli alunni che hanno bisogno di interventi di prima alfabetizzazione: in tal senso è importante non applicare l’automatismo à alunno straniero à alunno con BES); - alunni che, anche temporaneamente, si trovino in situazioni di criticità e difficoltà tali da richiedere un intervento personalizzato e/o individualizzato per sostenere il loro percorso di apprendimento.
Fermo restando che ogni insegnante del team o consiglio di classe abbia ben chiaro:
- Che cosa si intende per “ben fondate considerazioni pedagogiche e didattiche” in base alle quali il Consiglio di Classe può individuare un alunno con BES in assenza di certificazione clinica;
- In che modo un team docente, non formato né chiamato a formulare ipotesi in merito a condizioni cliniche, può essere in grado di distinguere, basandosi sulla rilevazione dei bisogni e con un discreto margine di certezza tra una situazione segnalabile, e quindi potenzialmente certificabile (cosa si intende?) o meno;
- Quali criteri – parametri – indicatori (non diagnostici) vengono utilizzati in modo tale che si eviti una disparità di segnalazioni, all’interno dello stesso Istituto;
E’ opportuno essere consapevoli che una parte di queste situazioni non sono facilmente oggettivabili, perché sono in parte contestuali. Quindi la risposta più efficace è un’attenta osservazione sistematica (vedi modello allegato al PdP UST)
… “E’ noto anche che l’ambiente può sostenere oppure ostacolare il superamento di una difficoltà d’apprendimento e allo stesso modo, l’esperienza educativa può costituire una risorsa più o meno importante per fronteggiare la difficoltà e portare lo studente a sperimentare o meno una situazione di effettivo bisogno educativo speciale. Poiché però, ciascuno risponde in modo diversificato alle difficoltà che incontra, sia per le caratteristiche personali, sia per i contesti in cui vive, la via maestra per l’interpretazione dei bisogni dello studente è l’osservazione.”
Da : “strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”: concetti chiave e orientamenti per l’azione – gennaio 2014 – pagina 11
Il riconoscimento di una situazione di BES da parte della scuola non prevede l’assegnazione di educatori.
In caso di studenti con sostegno scolastico, è la Neuropsichiatria che segnala all’ente locale l’eventuale necessità di un assistente educatore per l’intervento domestico, scolastico o entrambi. Negli altri casi non è previsto.
La scuola pubblica statale non ha in organico personale di quel tipo da coinvolgere, mentre, a volte, alcune scuole pubbliche paritarie hanno in organico tale risorsa.
Se si ritenesse necessaria una figura educativa, occorrerebbe rivolgersi ad altri enti affinché la forniscano direttamente oppure la finanzino. L’interlocutore principale a cui rivolgersi è l’Ente locale con il quale condividere, insieme alla famiglia, uno specifico progetto che rientra nei servizi alla persona, basato sul supporto di un educatore che potrebbe essere presente per alcune ore a scuola.
Le Scuole autonome hanno un margine di organizzazione progettuale in cui poter organizzare le risorse anche con momenti di contemporaneità per attività in piccolo gruppo.
In ambito pedagogico – didattico a tutti i docenti è richiesta la competenza per attivare percorsi inclusivi: i Servizi territoriali di Neuropsichiatria sono di supporto al lavoro della scuola che presidia l’ambito della pedagogia, della metodologia e della didattica.
In ambito territoriale esistono 6 CTI (centri Territoriali per l’Inclusione), un CTS (Centro Territoriale di Supporto) ed un Ufficio per l’Integrazione presso l’Ufficio scolastico provinciale, che possono costituire, attraverso i rispettivi referenti, centri di supporto e consulenza.
In ogni Istituto il referente BES è punto di riferimento.
Per l’anno scolastico 2015/2016 sarà disponibile una piattaforma del CTS sulla quale verranno messe a disposizione una serie di informazioni e di risorse ed un “forum” attraverso il quale porre quesiti e chiedere consulenza alla rete CTI – CTS ed all’Ufficio scolastico provinciale.
Tenendo conto delle reali difficoltà correlate alla necessità di risorse, alla frammentarietà disciplinare e di insegnamento delle scuole secondarie ed alla numerosità dei gruppi classe, quello che si riesce e si può attivare è necessariamente vincolato alla capacità di collaborazione tra i docenti, alla possibile flessibilità organizzativa e gestionale ed alla ridefinizione di un canone didattico che non si limiti alla lezione frontale.
Si indicano una serie di suggerimenti – criteri generali per sviluppare una pedagogia inclusiva che poi si fa didattica inclusiva:
- Principi della pedagogia inclusiva
Nei documenti dell’UNESCO (2000) viene attribuita grande importanza alla Pedagogia Inclusiva che poggia su quattro punti fondamentali:
- tutti gli alunni possono imparare;
- tutti gli alunni sono diversi;
- la diversità è un punto di forza;
- l’apprendimento si intensifica con la cooperazione tra insegnanti, genitori e comunità.
- Implicazioni metodologiche e didattiche
La pedagogia inclusiva richiede:
- la differenziazione dei percorsi;
- il riconoscimento e la valorizzazione dell’alterità;
- considera la diversità come un punto di forza sia della socializzazione che dell’apprendimento;
- richiede la puntualizzazione sulle sinergie delle competenze e delle risorse, oltre che del lavoro di rete.
- Le competenze dei docenti
Organizzare ed animare situazioni di apprendimento
- Conoscere per una determinata disciplina i contenuti da insegnare e la loro traduzione in obiettivi d’apprendimento
- Lavorare a partire dalle rappresentazioni degli alunni
- Lavorare a partire dagli errori e dagli ostacoli all’apprendimento
- Costruire e pianificare dispositivi e sequenze didattiche
- Impegnare gli alunni in attività di ricerca, in progetti di conoscenza
Gestire la progressione degli apprendimenti
- Ideare e gestire situazioni problema adeguati al livello e alle possibilità degli alunni
- Acquisire una visione longitudinale degli obiettivi dell’insegnamento
- Stabilire legami con le teorie che sottendono alle attività di apprendimento
- Osservare e valutare gli alunni in situazioni di apprendimento secondo un approccio formativo
- Redigere bilanci periodici di competenze e prendere decisioni di progressione
Ideare e fare evolvere dispositivi di differenziazione
- Gestire l’eterogeneità in seno al gruppo classe
- Allargare la gestione della classe con uno spazio più vasto
- Sviluppare la cooperazione tra alunni e certe forme di mutuo insegnamento
Coinvolgere gli alunni nel loro apprendimento e nel loro lavoro
- Suscitare il desiderio di apprendere, esplicitare il rapporto con il sapere, il senso del lavoro scolastico e sviluppare la capacità di autovalutazione nell’alunno
- Negoziare con gli alunni diversi tipi di regole e contratti
- Offrire attività di formazione opzionale, “a scelta”
- Favorire la definizione di un progetto personale dell’alunno
Lavorare in gruppo
- Elaborare un progetto di gruppo e rappresentazioni comuni
- Animare un gruppo di lavoro, guidare riunioni
- Formare e rinnovare un gruppo pedagogico
- Affrontare ed analizzare insieme situazioni complesse, pratiche e problemi professionali
- Gestire crisi e conflitti tra persone
Partecipare alla gestione della scuola
- Elaborare e negoziare un progetto d’Istituto
- Gestire le risorse della scuola
- Organizzare e far evolvere in seno alla scuola la partecipazione degli alunni
Informare e coinvolgere i genitori
- Animare riunioni d’informazione e di dibattito
- Guidare colloqui
- Coinvolgere i genitori nella valorizzazione della costruzione dei saperi
Servirsi delle nuove tecnologie
- Sfruttare le potenzialità didattiche di software in relazione agli obiettivi d’insegnamento
- Comunicare a distanza per mezzo della telematica
- Utilizzare gli strumenti multimediali nel proprio insegnamento
Affrontare i doveri e i dilemmi etici della professione
- Lottare contro i pregiudizi e le discriminazioni sessuali, etniche e sociali
- Partecipare alla costruzione di regole di vita comuni
- Analizzare la relazione pedagogica, l’autorità e la comunicazione in classe
- Sviluppare il senso di responsabilità, la solidarietà e il sentimento di giustizia
Gestire la propria formazione continua
- Redigere il proprio bilancio di competenze e il proprio programma di formazione continua
Negoziare un progetto di formazione comune con i colleghi
L’insegnante di sostegno è un docente contitolare della classe e partecipa totalmente sia in fase di programmazione, sia in fase di gestione della classe alle diverse attività di apprendimento e di insegnamento, con particolare attenzione ai modi ed ai tempi dell’inclusione, costituendo una risorsa didattico / educativa – preziosa – tra altre.
In tal senso può certamente collaborare ad azioni di personalizzazione e/o individualizzazione rivolte anche ad alunni con BES, senza nulla togliere, però, a tutti gli interventi richiesti per l’alluno (gli alunni) con disabilità inseriti in classe. Di certo non può essere demandata a questa figura la responsabilità di “seguire” gli alunni con BES, creando di fatto una classe/gruppo differenziato.
Per la scuola primaria è consuetudine normativa e strutturale la programmazione settimanale, all’interno della quale è logicamente inserito il coordinamento del team per lo sviluppo metodologico e didattico, in una visione inclusiva di individualizzazione e personalizzazione.
Per la scuola secondaria di primo e secondo grado il coordinamento degli interventi avviene all’interno dei CdC, sotto la guida del coordinatore del Consiglio e con l’eventuale supporto del referente BES di Istituto.
Queste prassi rientrano a tutti gli effetti nella funzione docente inerente il servizio professionale di ogni singolo docente.
È opportuno e funzionale definire un protocollo di Istituto che individui tempi, luoghi, modi e protagonisti per condividere le informazioni con la famiglia (ad esempio, un modello di colloquio con la famiglia) e con la neuropsichiatria o ente che eventualmente segue l’alunno.
Si richiama anche l’importanza di correlare il tutto al Progetto di accoglienza e supporto didattico per gli alunni stranieri, proprio per evitare inutili automatismo.
È di fondamentale importanza poi comunicare, nel rispetto della volontà dei genitori o tutori del minore, il percorso dell’alunno nel passaggio tra i diversi ordini di scuola, soprattutto tra scuola secondaria di primo grado e scuola secondaria di secondo grado e/o tra istituti diversi, segnalando almeno che nel segmento precedente era in atto un intervento specifico di supporto.
La formazione messa in atto dai CTI e dal CTS in questi anni, oltre a sondare specifici ambiti, riferiti alla disabilità ed ai DSA, ha riguardato numerosi laboratori:
- la Gestione della classe,
- la didattica “inclusiva”,
- la predisposizione del PdP
- la personalizzazione / individualizzazione della didattica.
Da un modello di formazione più volto alla lezione frontale (cioè prevalentmente informativo) ci si è rivolti alla possibilità di frequentare momenti laboratoriali dove sperimentare alcune tecniche ed alcuni strumenti, da integrare, poi, nel proprio “fare scuola”.
I dati di frequenza indicano anche uno spostamento dall’interessamento a questi problemi dai docenti di sostegno ai docenti curricolari. Ultimamente ci si è concentrati, in collaborazione con la Neuropsichiatria, sulla capacità di decodificare diagnosi cliniche in prospettiva pedagogico-didattica (i materiali dei diversi percorsi di formazione sono pubblicati sul sito http://www3.istruzione.varese.it/integrazione/default.aspx e, a breve, nella specifica sezione del sito dei CTI e CTS : https://www.ctscti.istruzione.varese.it/ )
Vedi la risposta A chi compete individuare alunni con BES di “fascia c”?
Dipende dal tipo di BES.
Se si tratta di un problema soprattutto psicologico o indotto dall’ambiente, oppure legato ad una condizione temporanea di malattia, potrebbero venire meno le difficoltà, vuoi per un miglioramento delle caratteristiche individuali (es. supporto psicologico), vuoi per un miglioramento delle caratteristiche dell’ambiente o per un recupero dell’organismo.
In questi casi, aver consentito allo studente, per un certo tempo, di avere un percorso che tenesse conto delle sue fatiche, superiori ai compagni e/o avergli fatto sentire il supporto fattivo dei docenti, potrebbe anche averlo preservato dallo scoraggiamento, dandogli la motivazione ad impegnarsi al milgioramento delle condizioni.
Se si tratta invece di condizioni che non si stanno risolvendo, oppure permanenti (es. situazione intellettiva limite), la necessità di personalizzazione non decade, ma i docenti possono capire sempre meglio la situazione e quali interventi e modalità si mostrano più produttivi di altri.
Le procedure devono essere condivise tra i vari enti, comprese scuola e famiglie secondo l’accordo di programma provinciale con le procedure di interazione con le altre istituzioni e la famiglia.
La procedura di lavoro viene decisa dal Team / Consiglio di classe che individua la situazione di BES e poi condividerla con la famiglia.
Ovviamente non c’è una disposizione precisa, data la grande variabilità delle situazioni. Si tratta di scelte affidate alla cultura professionale e pedagogica dei Team/CdC, unite agli eventuali criteri stabiliti dai Collegi dei docenti.
Per analogia con quanto previsto dalla L. 170 il PdP va rivisto e rinnovato ogni anno, dopo un periodo ragionevole di osservazione (indicativamente, entro il mese di novembre).
Tempi adeguati di osservazione da parte di tutti i docenti del CdC / Team docenti sono fondamentali per la conoscenza dei bisogni dell’alunno, delle caratteristiche funzionali e delle sue risposte agli interventi inerenti il suo percorso di apprendimento.
Come previsto dalla normativa non vanno prese in considerazione richieste, segnalazioni, presentate per alunni dell’ultimo anno delle scuole secondarie, a ridosso del periodo degli esami di stato (aprile, maggio dell’anno scolastico).
La stesura del PDP e’ frutto di una relazione con la famiglia, non di una decisione momentanea e immediata. Soprattutto in previsione di una continuità didattica dovrebbe far parte di una documentazione che accompagna lo studente nel suo percorso. Nel caso di non disponibilità da parte della famiglia, si potrebbe “sciogliere” il PDP all’interno della didattica ordinaria, senza alcuna stesura particolare.
Va illustrato ai genitori e il GLI potrebbe/dovrebbe elaborare una guida-procedura per condurre il colloquio con la famiglia
In caso di non accettazione del PdP da parte della famiglia è importante far firmare loro una dichiarazione (nel modello proposto è già previsto).
La mancanza di consenso da parte della famiglia non esime la scuola dal mettere in atto tutte le misure necessarie per sostenere l’apprendimento dell’alunno.
Il riferimento normativo in questo campo specifico è esplicitata nelle linee guida della L. 170:
“…Dalle linee guida sui DSA 12 luglio 2011 (MIUR) : …
Individualizzato – personalizzato
La Legge 170/2010 dispone che le istituzioni scolastiche garantiscano «l’uso di una didattica individualizzata e personalizzata, con forme efficaci e flessibili di lavoro scolastico che tengano conto anche di caratteristiche peculiari del soggetto, quali il bilinguismo, adottando una metodologia e una strategia educativa adeguate».
I termini individualizzata e personalizzata non sono da considerarsi sinonimi. In letteratura, la discussione in merito è molto ampia e articolata. Ai fini di questo documento, è possibile individuare alcune definizioni che, senza essere definitive, possono consentire di ragionare con un vocabolario comune.
E’ comunque preliminarmente opportuno osservare che la Legge 170/2010 insiste più volte sul tema della didattica individualizzata e personalizzata come strumento di garanzia del diritto allo studio, con ciò lasciando intendere la centralità delle metodologie didattiche, e non solo degli strumenti compensativi e delle misure dispensative, per il raggiungimento del successo formativo degli alunni con DSA.
“Individualizzato” è l’intervento calibrato sul singolo, anziché sull’intera classe o sul piccolo gruppo, che diviene “personalizzato” quando è rivolto ad un particolare discente. Più in generale – contestualizzandola nella situazione didattica dell’insegnamento in classe – l’azione formativa individualizzata pone obiettivi comuni per tutti i componenti del gruppo-classe, ma è concepita adattando le metodologie in funzione delle caratteristiche individuali dei discenti, con l’obiettivo di assicurare a tutti il conseguimento delle competenze fondamentali del curricolo, comportando quindi attenzione alle differenze individuali in rapporto ad una pluralità di dimensioni.
L’azione formativa personalizzata ha, in più, l’obiettivo di dare a ciascun alunno l’opportunità di sviluppare al meglio le proprie potenzialità e, quindi, può porsi obiettivi diversi per ciascun discente, essendo strettamente legata a quella specifica ed unica persona dello studente a cui ci rivolgiamo.
Si possono quindi proporre le seguenti definizioni.
La didattica individualizzata consiste nelle attività di recupero individuale che può svolgere l’alunno per potenziare determinate abilità o per acquisire specifiche competenze, anche nell’ambito delle strategie compensative e del metodo di studio; tali attività individualizzate possono essere realizzate nelle fasi di lavoro individuale in classe o in momenti ad esse dedicati, secondo tutte le forme di flessibilità del lavoro scolastico consentite dalla normativa vigente.
La didattica personalizzata, invece, anche sulla base di quanto indicato nella Legge 53/2003 e nel Decreto legislativo 59/2004, calibra l’offerta didattica, e le modalità relazionali, sulla specificità ed unicità a livello personale dei bisogni educativi che caratterizzano gli alunni della classe, considerando le differenze individuali soprattutto sotto il profilo qualitativo; si può favorire, così, l’accrescimento dei punti di forza di ciascun alunno, lo sviluppo consapevole delle sue ‘preferenze’ e del suo talento. Nel rispetto degli obiettivi generali e specifici di apprendimento, la didattica personalizzata si sostanzia attraverso l’impiego di una varietà di metodologie e strategie didattiche, tali da promuovere le potenzialità e il successo formativo in ogni alunno: l’uso dei mediatori didattici (schemi, mappe concettuali, etc.), l’attenzione agli stili di apprendimento, la calibrazione degli interventi sulla base dei livelli raggiunti, nell’ottica di promuovere un apprendimento significativo.
La sinergia fra didattica individualizzata e personalizzata determina dunque, per l’alunno e lo studente con DSA, le condizioni più favorevoli per il raggiungimento degli obiettivi di apprendimento. …”
Non c’è un riferimento specifico alla scuola dell’infanzia nella normativa vigente.
Non essendo valutati gli apprendimenti in senso stretto, si possono individuare potenzialità e limiti senza formalizzarli in un documento quale il PDP.
Tuttavia, ai fini di una migliore documentazione dell’intervento educativo e della sua continuità con la scuola primaria, la redazione di un documento con i dati essenziali del lavoro specifico effettuato, può essere opportuna.
La risposta richiede il richiamo di vari aspetti:
- In analogia con quanto previsto per gli alunni con DSA la programmazione deve mantenere gli obiettivi minimi richiesti per il corso di studi della classe di appartenenza.
- La programmazione “differenziata”, cioè con una eventuale selezione tra gli obiettivi di apprendimento rispetto alla programmazione per la classe, è specifica del PEI (Piano Educativo Individualizzato) per alunni con certificazione di disabilità (L. 104/92).
- Soprattutto per il corso di studi del primo ciclo di istruzione, esistono delle Indicazioni programmatiche sulle quali ogni Istituto, nella propria autonomia, può definire gli obiettivi minimi di competenze da raggiungere.
- Spesso non esiste una stretta coincidenza tra competenze, obiettivi, contenuti e modalità di lavoro.
Ad esempio, l’obiettivo di comprendere il testo narrativo, può essere realizzato utilizzando come contenuti di lavoro i testi del Manzoni, ma anche di altri autori.
La conoscenza del funzionamento dell’apparato digerente può essere richiesta ad un livello molto dettagliato e corredato da una terminologia specialistica, oppure più sommaria e corredata da un lessico specifico essenziale.
Allo stesso modo, l’analisi grammaticale può arrivare al dettaglio della distinzione tra sostantivi primitivi / derivati, oppure rimanere a livelli più generali. - E’ possibile che “individualizzazione” – “personalizzazione” si realizzino non sui contenuti, ma sul piano metodologico – didattico e su quello organizzativo – gestionale.
Se in classe viene attivata una reale “didattica inclusiva”, dovrebbero venir meno almeno alcune delle difficoltà e criticità manifestate dagli alunni rispetto ad una didattica basata sullo “studente standard” ed il numero dei PdP dovrebbe diminuire o addirittura scomparire.
Per le prove INVALSI è prevista la modificazione grafica della prova per alunni con Bisogni Educativi Speciali. (non ho controllato: permettono di manipolare il file di testo? Mandano la prova in digitale se richiesta) Non è prevista la modifica strutturale e contenutistica della stessa.
Questo problema è la punta di un iceberg che nasconde processi correlati alla programmazione ed al suo significato, allo sviluppo di un curricolo di Istituto nel primo ciclo, dove cominciare a ragionare seriamente per competenze, individuando quali, a livello minimo (sufficienza), servano per procedere nel proprio percorso di studi.
La questione, nell’attuale situazione, si complica per la scuola del secondo ciclo, tenendo conto dell’attuale certificazione data dal diploma di stato che richiede competenze correlate anche a specifici contenuti.
L’avvio sperimentale da parte del MIUR (C.M. n. 3 prot. n. 1235 del 13 febbraio 2015)d ella certificazione delle competenze nelle scuole sta ad indicare l’inizio di un processo che cercherà di rispondere a queste problematiche.
In merito alla valutazione degli studenti con BES, possiamo riferirci a quanto contenuto nelle Linee giuda sui DSA:
… “L’adozione delle misure dispensative, al fine di non creare percorsi immotivatamente facilitati, che non mirano al successo formativo degli alunni e degli studenti con DSA, dovrà essere sempre valutata sulla base dell’effettiva incidenza del disturbo sulle prestazioni richieste, in modo tale, comunque, da non differenziare, in ordine agli obiettivi, il percorso di apprendimento dell’alunno o dello studente in questione.”
linee guida sui DSA 12 luglio 2011 (MIUR)
Ogni anno l’INVALSI emana una specifica circolare in merito allo svolgimento delle stesse in caso di studenti in situazione BES.
Allo stesso modo, ogni anno, il MIUR detta specifiche indicazioni per l’Esame di stato, sia del I ciclo (si veda al proposito la CM n. 48 del 31 maggio 2012 – indicazioni a carattere permanente), che del II ciclo di Istruzione.
In tali indicazioni, sino allo scorso anno scolastico, erano esplicitate prassi e misure adottabili per alunni con disabilità ed alunni con DSA, mentre nulla di particolare o specifico era riferito agli alunni con Bisogni Educativi Speciali del “terzo tipo”.
Gli specialisti possono intervenire nei Consigli di Classe per supportare sia l’azione di progettazione, sia di valutazione riferita ad alunni con BES.
In ogni Istituto dovrebbe essere presente una procedura che regola la presenza di esperti negli organismi citati e anche nel GLI.
Le risorse si possono reperire all’interno dell’Istituto, tra Reti di scuole e per quanto riguarda il personale educativo – su specifico progetto (per alunni disabili e/o per particolari situazioni sociali) – le risorse, tramite i Servizi sociali, vengono erogate dagli Enti locali (Comune e Provincia).
Vedi anche risposta È possibile richiedere educatori? A chi?
Il territorio provinciale di Varese dispone dei 6 Centri Territoriali per l’Inclusione (CTI), a livello distrettuale, del Centro Territoriale di Supporto (CTS) e dell’Ufficio Integrazione (inclusione) dell’Ufficio Scolastico Provinciale, che operano in rete sia in ambito di formazione dei docenti, sia in ambito di consulenza ( informazioni, risorse e supporto/consulenza sono reperibili su siti istituzionali e sul sito del CTS – CTI )
Particolare attenzione richiede la presenza di alunni NAI nella scuola, soprattutto se il loro arrivo coincide con la frequenza della scuola superiore, a maggior ragione nei percorsi di istruzione liceale. Premesso che tali alunni siano stati valutati in entrata relativamente ai percorsi pregressi mediante prove di ingresso e che per essi sia stato previsto un adattamento dei piani di studio contemporaneamente all’implementazione di supporto di prima alfabetizzazione, il percorso di tali alunni prevederà prove di valutazione coerenti con il piano di studi personalizzato elaborato per loro dal CdC. In fase di prima alfabetizzazione la valutazione del primo quadrimestre può essere sospesa per le materie in cui non sia possibile indicare una valutazione, mentre per va espressa per gli insegnamenti (di ambito più operativo) in cui si giunga ad una valutazione. Al termine del secondo quadrimestre la valutazione deve essere sempre espressa e riferita all’eventuale percorso personalizzato. In caso di iscrizione dell’alunno ad anno scolastico molto avanzato si provvederà ad una valutazione tenendo conto, oltre che dell’esito delle prove di ingresso, di altri fattori quali:
- Eventuale certificazione relativa alla scolarità pregressa
- Efficacia della futura permanenza nel gruppo classe
- Età anagrafica
- Potenzialità di sviluppo dell’alunno.
Si ricorda inoltre che la valutazione nella lingua madre può essere usata come valutazione della seconda lingua e che si può utilizzare una lingua straniera ‘veicolare’ per testare l’apprendimento di contenuti disciplinari non ancora esprimibili correttamente in lingua italiana.
Il PdP non è un P.E.I. ( Piano Educativo Individualizzato – L. 104), in cui è possibile effettuare una selezione di obiettivi ai fini dell’individualizzazione e derivanti dal Profilo Dinamico funzionale e dalla condivisione di un percorso di apprendimento deciso dai docenti in collaborazione con l’ambito sanitario e riabilitativo e la famiglia.
Il PdP non modifica gli obiettivi programmati per il gruppo classe di appartenenza dell’alunno con BES (e nel PdP non ci devono essere obiettivi), ma individua e definisce strategie, metodologie e tempi (misure compensative, dispensative ed abilitative …) utili ad abbattere o ridurre le barriere che non permettono quel percorso di apprendimento.
Per quanto concerne gli alunni con disabilità (Legge 104) le verifiche e la valutazione sono riferite agli obiettivi previsti nel PEI, rimandando esplicitamente alla programmazione che può essere semplificata o differenziata.
Per quanto concerne gli alunni con DSA la L. 170, le Linee guida applicative ribadiscono che gli obiettivi previsti per la classe hanno valore anche per questi alunni; si interviene solo con misure dispensative o compensative sul piano metodologico didattico e le stesse misure previste nel PdP ed adottate nella pratica quotidiana devono essere utilizzate anche durante le prove di verifica e le prove d’esame.
La valutazione inerisce chiaramente gli obiettivi previsti in programmazione di classe, sia come conoscenze, sia come abilità, sia come competenze. Discorso specifico riguarda le lingue straniere con la distinzione tra dispensa (per es. dalla lingua scritta straniera) ed esonero (eccezionalmente prevedibile) che di fatto differenzia il curriculum di studi e non permette l’acquisizione del diploma, ma solo la certificazione di competenze.
Per gli alunni con Bisogni Educativi Speciali individuati dal Team docenti / Consiglio di Classe (quindi esclusi i casi di DSA e di sostegno scolastico da L. 104), una volta definito il PdP, si applicano le misure previste dispensative e o compensative (o altre strategie) anche in fase di verifica.
La valutazione si rapporta sempre agli obiettivi previsti per la classe. Chiaramente, perciò, il nodo cruciale rimane la necessità di stabilire per ogni disciplina quale sia il livello minimo che tutti debbono raggiungere e ciò implica un’inevitabile e seria riflessione che superi i contenuti di lavoro e le conoscenze sterili, per definire quali siano le competenze necessarie per proseguire nel corso degli studi
Per un approfondimento si rimanda alla bibliografia/sitografia ed alle norme là elencate.
Per quanto concerne il PdP, non è prevista una programmazione semplificata, perché lo strumento descrive i percorsi metodologici e didattici e le misure messe in atto per sostenere i percorsi di apprendimento dell’alunno che si trova in situazione di Bisogno Educativo Speciale.
Se per “semplificazione” si intende che si stabilisce di prendere a riferimento gli obiettivi minimi, allora chiaramente il percorso didattico volge almeno al raggiungimento di questi.
Nel caso di alunni che in passato godevano dei benefici del sostengo scolastico e del PEI, ai sensi della L. 104, mentre ora non vi rientrano più, è logicamente conseguente prevedere un proseguimento di quel percorso sulla scorta di un PdP (come alunno con BES) e chiaramente assume rilievo fondamentale tutto ciò che si è riuscito ad agire nella fase precedente, che diventa il punto di partenza essenziale su cui muoversi, con l’obiettivo di raggiungere i traguardi minimi della programmazione di classe.
In caso di studenti NAI, l’ambito di riferimento non è quello dei Bisogni Educativi Speciali.
- in realtà pesa soprattutto per l’ammissione all’esame di terza
- riguarda le valutazioni precedenti
- approccio “mastery learning”; fare media sui risultati della stessa prestazione
Tutto ciò che inerisce le misure adottate anche per le verifiche è descritto nel Piano Didattico Personalizzato.
Nel Protocollo d’Accoglienza per gli alunni stranieri di Istituto possono essere declinati i criteri di ammissione degli alunni stranieri alla classe successiva. In linea generale, relativamente alla competenza in Italiano L2, il raggiungimento del livello A2 del QCE si può considerare uno degli indicatori positivi ma non vincolanti per la continuazione del percorso scolastico. Si ricordi che comunque la non conoscenza della lingua italiana non è preclusiva alla prosecuzione del percorso. Relativamente ai contenuti disciplinari, saranno i docenti di materia ad indicare i nuclei fondanti e gli obiettivi irrinunciabili della propria disciplina la cui conoscenza e raggiungimento sono indispensabili all’alunno per poter proseguire gli studi.
In un’impostazione basata sul successo formativo e la personalizzazione, chiaramente andrebbe personalizzata anche la valutazione.
Attualmente, però, il nostro sistema scolastico sta vivendo, in tal senso, una specie di cortocircuitazione secondo il paradosso di un intervento di personalizzazione da una parte e dall’altra la richiesta di una valutazione standardizzata. Essa è poi e molto riferita ancora ad aspetti contenutistici e di conoscenza e poco a competenze realmente certificabili. Si auspica che, prima o poi, qualcuno provi a sciogliere questo nodo.
Alle scuole (almeno del primo ciclo) rimane la possibilità di definire le soglie minime di competenze ed operare su un serio percorso di orientamento degli alunni con tali fragilità, in modo da diminuire al massimo le criticità correlate a queste “discinesie del sistema scolastico”.